Onorevoli Colleghi! - La tutela della famiglia deve costituire una priorità nella consapevolezza del ruolo fondamentale che la stessa riveste quale nucleo primario e fondante della società civile. Nella famiglia gli eventi della maternità e della procreazione e, quindi, l'esperienza della gravidanza e del parto, assumono un ruolo determinante, unitamente all'attento monitoraggio delle metodiche di parto attualmente in essere in Italia.
      Solo quarant'anni fa l'incidenza della morbilità e della mortalità fetale e, alle volte, anche materna, era notevole e legata prevalentemente alla esasperazione di metodiche che privilegiavano il parto vaginale, con un frequente ricorso ad interventi ostetrici quali l'applicazione di forcipe o di ventosa ostetrica o il rivolgimento e l'estrazione podalica. Ciò comportava sovente postumi severi per la salute della madre e del neonato. Il ricorso al taglio cesareo, per contro, era percentualmente scarso sia per la mentalità dei vecchi ostetrici, sia per la scarsa affidabilità delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche di allora.
      Dal 1975 il tasso di mortalità infantile (morti entro il primo anno di vita per 1.000 nati vivi) in Italia è sceso del 76 per cento (dal 20,5 del 1975 al 4,9 per mille del 1999). Tuttavia vi sono ancora differenze tra le regioni del nord e del sud: in alcune regioni meridionali (Puglia, Sicilia, Basilicata), infatti, il tasso di mortalità infantile nel 1999 era del 7,33 per mille

 

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rispetto al 3,0 delle regioni (Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia) con il tasso di mortalità più basso. Obiettivo fondamentale è quindi innanzitutto ridurre le disparità regionali nei tassi di mortalità neonatale, avvicinando la media nazionale a quella della regione con indice di mortalità più basso. Per quanto riguarda la mortalità nel primo anno di vita, le malformazioni congenite rappresentano, insieme alla prematurità, l'83 per cento di tutte le cause.
      Negli anni successivi la reazione è stata quella di ricorrere ad una ospedalizzazione massiva e ad un eccesso di medicalizzazione del parto. Pensiamo che non si possa e non si debba tornare indietro, innanzitutto perché non esistono quasi più le manualità ostetriche in grado di eseguire quegli interventi vaginali complessi che ormai fanno parte della storia dell'ostetricia, e d'altra parte, la denatalità via via crescente ha condotto ad una standardizzazione delle famiglie con un numero di figli solo raramente superiore a due. Ciò ha indotto sempre più a pretendere di avere una prole sana riducendo al minimo i rischi comunque sempre presenti nel parto vaginale.
      Oggi il 90 per cento ed oltre delle gravidanze si conclude con la nascita di un neonato sano; tra i meno fortunati vanno compresi non soltanto i soggetti nati da gravidanze a rischio elevato, affetti da malformazione o prematuri, ma anche coloro che hanno subito sofferenza prenatale insorta prima del travaglio o durante il parto per cause imprevedibili o impreviste. Ciò significa che anche l'evidenza di condizioni gravidiche e feto-neonatali ragionevolmente ritenute normali, correttamente documentata, non esclude la possibilità di una improvvisa evoluzione verso l'emergenza. Pertanto, tipo e modalità del parto, scelte della gestante, strategie assistenziali adottate al momento dell'avvio del travaglio, nascere o far nascere in un determinato modo piuttosto che in un altro, tipologia ed entità delle risorse umane e strumentali disponibili al momento del parto, insieme ad altri fattori, rappresentano il terreno in cui competenze professionali e mezzi tecnologici concorrono nel conseguimento dell'obiettivo primario, anche se non unico, di far venire alla luce un neonato in condizioni di benessere il più possibile ottimali.
      Il benessere psico-fisico della madre e il soddisfacimento dei suoi desideri non può dunque essere ricercato disgiuntamente dal conseguimento della massima salvaguardia dell'integrità fisica della gravida e del neonato.
      La promozione della salute riproduttiva consiste nel dare corrette informazioni sul possibile rischio genetico, sulla contraccezione, sulla necessità di abolire il fumo, l'alcool e le droghe, sulle problematiche della nutrizione, sulla necessità della profilassi con acido folico e di un supporto sociale ed emozionale tempestivo. Inoltre, devono essere fornite precise informazioni sull'esistenza nel territorio di reparti e centri ostetrici-neonatologici specificatamente indirizzati all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.
      Se è vero che in molti piccoli punti nascita la donna riceve più attenzione, tuttavia neanche questo aspetto può essere generalizzato; il grado di attenzione non è sempre garanzia del benessere fisico della madre e del figlio; una migliore offerta di tipo alberghiero o una maggiore accondiscendenza a richieste dell'utente non sempre sono compatibili con quanto necessario alla prevenzione del rischio.
      L'orientamento delle donne verso un tipo di parto "alternativo" è molto probabilmente una espressione di insoddisfazione del parto e può rappresentare una reazione all'eccesso di medicalizzazione e di ospedalizzazione che si è realizzato fino agli anni ottanta. Tale insoddisfazione rappresenta un terreno fertile per l'attecchimento di messaggi che tendono a distogliere l'attenzione dalla valutazione del rischio perinatale che interessa una quota non indifferente di parti e che non può essere identificato con tanta tempestività da rinunciare a priori all'impiego di tecnologie. Ogni messaggio e offerta rivolti a soddisfare il bisogno di "naturalità" e a
 

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ridurre l'insoddisfazione connessa alla medicalizzazione possono essere ingannevoli se non accompagnati da una chiara esplicitazione degli eventuali rischi aggiuntivi connessi all'espletamento dell'evento nascita nelle condizioni desiderate dalla gestante.
      L'esperienza quotidiana in sale parto di differente livello assistenziale giustifica ampiamente le cause di insoddisfazione sul parto. Tuttavia, il Sistema sanitario nazionale, nelle varie sedi di competenza, non può dare risposte corrispondenti esclusivamente alle attese dell'adulto e, in particolare, ai suoi bisogni di privacy o di accoglienza logistica, ma deve soddisfare in ogni momento i requisiti di salvaguardia della salute della madre e del feto, tenendo conto della compatibilità della domanda nell'allocazione delle risorse a disposizione, dei benefici attesi e dei risultati conseguiti ed obiettivamente valutati.
      Se è vero che la medicalizzazione spinta, a parità di condizioni socio-economiche della popolazione e di risorse ospedaliere di personale e di strutture, ha determinato all'inizio degli anni settanta una riduzione dei tassi di mortalità perinatale superiore al 50 per cento in pochissimi anni, occorre fornire un'equa soluzione per porre in modo corretto al servizio della popolazione più debole e bisognosa mezzi di trattamento e di assistenza proporzionati ai bisogni. Un intervento ostetrico, mirato razionalmente alla tutela globale della salute materno-infantile e caratterizzato dal massimo impegno nel rispetto della proporzionalità dell'utilizzo di tecnologie, non può essere barattato con scelte alternative finalizzate al recupero di quella naturalità che, in anni non ancora dimenticati, ha prodotto tanti esiti infausti e disabilità.
      L'attuale organizzazione ospedaliera, insieme alla mancanza di una continuità assistenziale sul territorio, ha determinato nel 1999 un tasso di ospedalizzazione significativamente più elevato rispetto a quello di paesi europei quali, ad esempio, il Regno Unito (51 per cento) e la Spagna (60 per cento). Oggi umanizzare deve voler dire offrire attitudini nel controllare eventi naturali per mezzo di una nuova cultura del partorire e del nascere che raccolga ed elabori le conoscenze scientifiche, coniugandole con comportamenti assistenziali rispettosi degli stati emotivi e mirati al mantenimento del massimo benessere della partoriente e del nascituro.
      Ormai l'ostetricia è radicalmente cambiata: il parto deve avvenire fisiologicamente e spontaneamente e sarà sempre più rara l'esecuzione di indaginosi parti operativi vaginali. È ovvio però che la loro drastica riduzione ha causato un aumento significativo dell'incidenza dei tagli cesarei: ben il 33 per cento nel 1999, più frequenti nelle strutture del centro-sud con un basso numero di nati, fino a raggiungere in Campania il 51 per cento, mentre le regioni Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia registrano una percentuale di parti con taglio cesareo pari al 20 per cento, valori di poco superiori a quelli riportati dalla maggior parte dei Paesi dell'Unione europea.
      Ma non è solo questa la causa che ha fatto innalzare la percentuale di tagli cesarei ad una media di oltre il 30 per cento di tutti i parti, con alcune punte superiori al 50 per cento. La convinzione di un abbattimento dei rischi e l'esigenza di evitare la sofferenza del travaglio sono un altro elemento soggettivo che ha contribuito alla riduzione dei parti fisiologici.
      Altre condizioni, legate alle mutate esigenze della donna moderna, sempre più impegnata nel mondo del lavoro, hanno elevato oltre i 30 anni l'età media della prima maternità. Considerando infatti che l'età fisiologicamente più idonea per un primo parto va dai 20 ai 30 anni, tale condizione di «primiparità attempata» di per sé rappresenta una condizione di maggior rischio fetale nel parto e quindi una ulteriore causa di maggiore incidenza di tagli cesarei. In Italia si riscontra, invero, una bassa percentuale di gravidanze in età adolescenziale (2,25 per cento), paragonabile ai tassi osservati in altri Paesi europei quali Germania, Danimarca, Finlandia, Svezia e Francia.
      La rivalutazione dei consultori familiari, creati anche per far crescere tra la
 

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gente una cultura della sessualità e della riproduzione e per diffondere la tecnica della preparazione psico-fisica al parto, ormai spesso snaturati e ridotti al rango di semplici ambulatori di ginecologia, potrebbe contribuire alla realizzazione di quel transfert che deve crearsi tra il ginecologo e la donna per stabilire rapporti fiduciari e di sicurezza.
      L'analgesia ostetrica in travaglio di parto, tra le esigenze primarie della donna, risulta pochissimo praticata sul territorio nazionale soprattutto per la carenza di medici anestesisti. Anche in ciò è stato disatteso il progetto obiettivo materno-infantile 1998-2000, che prevedeva la presenza in sala parto del medico anestesista, insieme al ginecologo, al pediatra ed alla ostetrica.
      Il Piano sanitario nazionale 2003-2005 focalizzava l'attenzione sulla salute del neonato e poneva come obiettivo fondamentale quello di ridurre le disparità regionali nei tassi di mortalità e morbilità neonatali, intervenendo sia con la promozione della salute, intesa nel dare corrette informazioni sul rischio genetico e sulla necessità di instaurare corrette abitudini di vita e alimentari, sia con la realizzazione di centri ostetrici e neonatologici specificatamente indirizzati all'assistenza delle gravidanze normali e ad alto rischio.
      Tutti i sondaggi e le indagini statistiche effettuati nell'ambito del parto concordano nell'indicare una sorta di insicurezza e di malessere nella gestante, la quale vorrebbe coniugare sempre sicurezza, umanità e serenità in quel momento magico rappresentato dalla maternità e dalla nascita.
      Gli obiettivi strategici della protezione della maternità e del miglioramento dell'assistenza ostetrica e neonatologica del periodo perinatale non possono esulare dall'educazione alla salute e all'igiene dei giovani e delle famiglie, dalla riduzione del tasso di ospedalizzazione, dalla diminuzione della percentuale dei tagli cesarei, dalla ottimizzazione del numero dei punti nascita, dalla riqualificazione dei consultori familiari, dalla promozione di campagne informative rivolte alle gestanti sulle norme comportamentali di prevenzione, dalla diffusione della pratica del parto indolore, ancora non garantita in Italia dal Servizio sanitario nazionale, e dalla elaborazione di linee guida e percorsi diagnostici-terapeutici condivisi anche in ambito locale.
      Da ultimo, appare non sufficientemente considerato l'aspetto della rivalutazione del profilo professionale dell'ostetrica: al riguardo, questo ruolo, negli ultimi anni messo un po' da parte per via dell'eccessivo ricorso alla medicalizzazione, rappresenta classicamente un filtro tra il parto naturale e quello medicalizzato e può sicuramente contribuire ad una maggiore umanizzazione del parto, una delle esigenze primarie della donna.
      Queste le finalità della presente proposta di legge, che riprende il testo elaborato dalla XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, nella precedente legislatura.
 

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